Sinopse
La grandezza di Freud sta nell’avere denunciato, sulla scia di Nietzsche, il carattere illusorio, precario e contraddittorio dell’Io cosciente con le sue pretese di unità, continuità nel tempo e coesione, e nell’avere dimostrato che, al di sotto di esso, c’è un’attività mentale ridondante che rimescola di continuo il patrimonio di memorie personali e le informazioni che provengono dall’ambiente, influenzando potentemente il modo di sentire, di pensare e di agire.
Rivoluzionario per quanto concerne la sua capacità di esplorare la mente umana senza arretrare di fronte ad alcun aspetto, per quanto sgradevole possa essere, Freud è, al tempo stesso, un pensatore ideologicamente conservatore. In conseguenza di una visione meramente pulsionale della natura umana, che esclude un qualunque bisogno di socialità, egli ingabbia in questa cornice ideologica le sue formidabili intuizioni.
La contraddizione tra la vocazione del libero pensatore e il conservatorismo ideologico si spiega tenendo conto della collocazione storica dell’ebreo Freud in un contesto impregnato di antisemitismo, e della scissione tra un “istinto” di ricerca, che lo porta su terreni inesplorati, e un bisogno di integrazione sociale che lo costringe ad ammortizzare il carattere eversivo delle sue scoperte al fine di convalidare la “civiltà” del mondo cui appartiene (del quale, peraltro, decifra un inquietante disagio).
L’intento di questo saggio è di illuminare il dramma di una mente dotata come poche altre di capacità psicologiche intuitive, costretta entro una gabbia ideologica che finisce per mortificare il carattere rivoluzionario delle intuizioni. Tale intento implica il chiedersi se e come sia possibile recuperarle e valorizzarle.